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“Stavo precipitando in un baratro da cui non riuscivo più a risalire, piano piano mi stavo sgretolando”. La storia Denise

L’osteoporosi gravidica può essere un baratro senza uscita se non riconosciuta e adeguatamente diagnosticata e trattata. I dolori peggiorano progressivamente, l’inabilità aumenta e trovare una posizione in cui stare è sempre più difficile. Le giornate diventano infinite, così come le nottate.
E’ una sofferenza che non si immaginava nemmeno potesse esistere: non trovare un modo per placarla, la rende ancora più spaventosa. Si sparisce per i propri figli perché non si è più in grado di accudirli, per il proprio partner, per la propria famiglia, per se stesse. Il dolore che accompagna ogni più piccolo movimento prende il sopravvento su tutto.
Si sprofonda nella sofferenza per poi rinascere, quando finalmente la malattia viene trattata, in tutte le piccole gioie della vita normale che prima si davano per scontate.  Questo è il difficile percorso di Denise e di tante donne affette da questa subdola patologia.

Sono Denise, ho 36 anni e quasi un anno fa mi sono trovata a combattere contro un dolore che non avevo mai pensato potesse esistere.

Ho due bambini. La prima gravidanza è arrivata dopo quattro anni di tentativi e all’ottavo mese una banale distorsione mi fa rompere il malleolo. Convinti che si trattasse del peso dovuto alla gravidanza, nessuno mi dice di approfondire: forse poteva essere un’avvisaglia precoce di ciò che poi sarebbe accaduto, ma chi può saperlo?

Poche settimane prima del parto assumo cortisone perché ho una piastrinopenia idiopatica e mio figlio nasce con parto naturale seguito da un’emorragia post parto. Mi salvano la vita e io da subito comincio ad allattare. Allattamento esclusivo. Nel frattempo mi lamento della scomodità del mio materasso per i piccoli fastidi che avvertivo la mattina al risveglio. Continuo così per 18 mesi finché non scopro con tanta gioia di essere di nuovo in attesa di un altro bimbo. La gravidanza procede benissimo e sempre poche settimane prima del parto assumo cortisone per il solito problema. Di nuovo parto naturale e mi avvio ad allattare mio figlio al seno esclusivamente.

Il mio secondo bambino ha due mesi quando vado per sollevarlo da terra e sento come uno “strappo” nel fianco destro che mi dà a stento la forza di rialzarmi, solo per non far cadere mio figlio a terra. Respiro a fatica e chiamo subito mia madre perché impossibilitata a fare qualsiasi movimento. Questa fitta nel fianco non si placa, non passa e io continuo a dormire e stringere il mio bambino tra le braccia per un altro mese.

mamma con osteoporosi gravidica

Mi rivolgo intanto ad un fisioterapista che mi propone la Tecar terapia, poi il laser e per ultima l’elettroterapia, dicendomi di essere la paziente più difficile da trattare perché la più sofferente. Da lì comincia il mio inferno.

Urlare dal dolore

Un giorno, di ritorno dal fisioterapista, nel salire l’ultimo gradino delle scale a casa di mia madre, dove mi sono dovuta trasferire per essere aiutata con i bambini, mi immobilizzo e sento come tante scosse elettriche che non mi fanno andare né avanti né indietro e mi fanno urlare pazzamente. Fino a quel momento ho resistito tutto il tempo senza assumere medicinali per non interrompere l’allattamento, avevo mia madre che prendeva per me il mio bambino e lo sistemava vicino a me, ma a quel punto con tanta fatica e sofferenza mi convincono a smettere per potermi curare. Nel frattempo tiro via il latte ogni notte nonostante i dolori atroci.

Comincio così a seguire una terapia, pensando di risolvere qualcosa. Chi mi stava intorno, compresi i medici, mi diceva che si trattava di dolori normali dovuti al post parto oppure ad un’ernia. Mio marito (che mi faceva le iniezioni) dopo aver provato di tutto, si preoccupa seriamente proprio perché non c’era margine di miglioramento con nessun medicinale.

Non potevo più dormire con i miei figli. Avevo smesso di seguirli. Di prendermi cura di loro. Non guidata da nessuno e ignara persino dell’esistenza dell’osteoporosi gravidica, i dolori non mi permettevano neppure di sdraiarmi per fare una risonanza magnetica, esame che, per capire cosa avessi, dovevo per forza fare. E l’ho fatta, la risonanza. Come posso dimenticarlo? Mio marito era vicino a me, non sapeva come aiutarmi per farmi rialzare da quel lettino. Non ero ormai più in grado di muovermi da settimane

il baratro dell'osteoporosi gravidica

Era tutto nella mia mente, ovviamente

Non è stato facile iniziare l’iter che mi ha poi portato alla diagnosi, ma soprattutto non è stato veloce, con un ritardo nella diagnosi che mi ha portato alla paralisi. Solo dopo tante ricerche riesco a prenotare esami e risonanza in un centro dove mi avrebbero sedata, e solo dopo un mese riesco ad avere l’appuntamento. Nel frattempo? I miei familiari mi accompagnano in altri centri, nel tentativo di riuscire a darmi sollievo (nonostante il tragitto per me fosse un incubo) ma senza nessun risultato.

Mi dicono di fare del toradol, di assumere delle gocce per calmarmi, che si sarebbe trattato sicuramente di paura ed ansia, una cosa mentale mia. 

Una notte l’intensità dei dolori raggiunse l’apice. Mi diressi in ospedale e il dottore, dopo avermi a malapena ascoltata, mi disse, e non potrò mai più dimenticarlo, che per un mal di schiena non dovevo andare lì. Per un mal di schiena. Dopo aver discusso decise comunque di farmi i raggi al torace, rimandandomi a casa dopo un consulto con l’ortopedico che, dopo avermi toccata dietro la schiena e pur sentendomi urlare, mi fece la diagnosi di lombalgia, mi consigliò un corsetto lombare e alla mia domanda: “Dottore ma guarirò da questi dolori?” mi rispose sorridendo: ” Ma su! Tu sei giovane!”. Nessuno credeva al mio dolore. E naturalmente i raggi al torace non diedero alcun riscontro.

L’attesa feroce della diagnosi

Ho dovuto infine aspettare quel mese di attesa prima della risonanza. In tutti quei giorni trascorsi nel mezzo, ho dovuto sopportare tanta, tantissima sofferenza e sicuramente un peggioramento del quadro delle mie fratture. Non mi vergogno a dire che stavo arrivando al punto di ammazzarmi a causa dei dolori.

Non dormivo più. Le giornate non passavano. Quando giungeva la sera mi chiedevo cosa fare perché non avevo pace né seduta, né sdraiata. Dovevo stare attenta, perché bastavano movimenti minimi e all’improvviso mi partivano delle scosse terribili e urlavo, urlavo. Ero perfettamente lucida, dicevo alla mia famiglia: “Sento come se mi si fossero rotte le ossa, sono dolori profondi. Non ve li so spiegare.” L’esito arrivò e riportava 10 fratture vertebrali, alcune con edema. 6 dorsali e 4 lombari.

Il mio fisico era cambiato, ma dovetti aspettare di rimettermi in piedi per rendermi conto di quanto profondamente fosse cambiato. La schiena, molto curva ormai, e 8 cm di altezza persi. Non potevo neanche immaginare l’esistenza di tutto ciò. Ma cosa fosse l’osteoporosi gravidica non ero solo io a ignorarlo.

Ero piena di paura, piena di terrore. Mi rivolsi subito ad un neurochirurgo che come prima cosa mi disse: “Io posso e devo risolvere quanto prima questo problema alla schiena perché c’è una vertebra crollata molto pericolosa per te e devo evitare di non farti più camminare, ma, cara mia, dobbiamo scoprire assolutamente la causa.” In mezzi termini da tutti gli esami diagnostici che mi segnò capii subito che si voleva escludere un tumore. Non si può spiegare l’ansia per ogni esito, i viaggi fatti e il corollario di urla strazianti ad ogni movimento, la disperazione nel non riuscire a guardare neanche i miei figli in faccia dai dolori fortissimi. Stavo per impazzire. In questi giorni di disperazione mio figlio, 3 mesi, si è dovuto ricoverare per bronchiolite e io non sono stata in ospedale vicino a lui. Tutti chiedevano dove fosse la mamma.

La mamma stava precipitando in un baratro da dove non riusciva più a risalire, stava cedendo piano piano. Si stava sgretolando. 

Ho combattuto con una forza che non sapevo di avere

Portai un busto lombosacrale fino al giorno dell’intervento. Mi dicevo sempre guardando fuori: “Anche una semplice passeggiata di qualche metro all’aria aperta per me sarà vitale”. Ho imparato ad apprezzare la vita normale, a desiderare la fatica, le corse, come non mai.

Il primo intervento che mi ha “ridato” la vita è stato il 6 novembre. Cifoplastica su 5 vertebre con tanto di esame istologico per escludere del tutto il presentimento che c’era stato all’inizio. Sono in cura da un’endocrinologa e ho cominciato subito una terapia.

È stato un percorso graduale. Con l’articolo 26 mi hanno permesso di fare molta fisioterapia e ancora avvertivo dei dolori che non mi permettevano di stare a lungo in piedi. Eppure l’intervento e una forza che non sapevo di avere mi hanno fatto combattere per il bene dei miei figli.

Ho ricominciato a dormire con loro, a stringerli sul letto tra le braccia. A lavarli a vestirli e riempirli di baci. Non voglio che mi sia tolto più nemmeno un bacio, un istante con loro.

La mia famiglia in tutto ciò non mi ha mai lasciata sola e mi ha sempre creduto. Ha sofferto con me. Solo che non sapevano più come aiutarmi. L’ultima cifoplastica alla L1 mi è stata eseguita il 17 giugno e ora sono in convalescenza. Posso solo dire GRAZIE a Dio che, nonostante la vita mi abbia messa a dura prova, in fondo a questo tunnel sto riuscendo a trovare la luce.

Non importano i cambiamenti fisici, dovrò lavorare anche su questo con fatica, ma sono VIVA e la cosa più importante è uscirne. Da quei dolori, da quella disabilità, da quella infinita disperazione. Di tutto ciò che ho vissuto, quello che mi ha spaventata di più è l’enormità della sofferenza che si può arrivare ad avere, e non trovare un modo per placarla.

La vita è preziosissima e ho imparato a prendermi cura di me stessa. Ho sempre i miei alti e bassi, le mie angosce legate al ricordo e alla paura di poter rivivere quel dolore, ma sono grata di poter camminare sulle mie gambe e di potermi godere ancora qualche bella passeggiata nella natura! Spero che da oggi in poi sia tutto in discesa perché quella che ho dovuto affrontare è stata una bella salita. Sì, credo proprio di meritarmelo. E se lo meritano la mia famiglia, i miei figli.

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