L’osteoporosi gravidica può compromettere il rapporto tra madre e figlio? Ne abbiamo parlato con la Dr.ssa Sara Caridi, psicoterapeuta esperta in psicologia perinatale nonché mamma con osteoporosi gravidica.
Il senso di colpa delle madri che sono malate è un tormento che spesso spezza loro l’anima. Eppure, anche se la malattia è una condizione di dolore, essa è anche un’occasione straordinaria per cambiare il nostro punto di vista sulla realtà. Scoprendo che la gioia è nelle piccole cose, che non è il fare ma lo stare a unirci a chi amiamo. E che non serve essere una super mamma: basta essere una mamma sufficientemente buona. Non c’è bisogno di altro.
Per crescere un bambino ci vuole un villaggio.
“Quando nasce un bambino nasce anche una mamma. E così come il neo-nato ha bisogno di qualcuno che si prenda cura di lui, allo stesso modo la neo-mamma ha bisogno di qualcuno che a sua volta si prenda cura di lei.” La dr.ssa Caridi centra subito il punto: le madri, sane o malate, hanno bisogno di un contesto accogliente. Perché la maternità non è mai rose e fiori: anche se tutto va liscio, è un’esperienza che manda in frantumi l’identità di una donna che rinasce madre. E se qualcosa va storto, se in frantumi si va anche letteralmente, come nell’osteoporosi gravidica, come fa una madre appena nata ad affrontare tutto il dolore da sola?
La solitudine delle madri è un problema del nostro tempo. Oggi si celebra la favola delle madri perfette, dedite e invincibili, ma la realtà è che le donne non sono mai state questo: sono sempre state immerse in una rete di supporto che si prendeva cura di loro mentre loro si prendevano cura del loro bambino – nelle case affacciate sullo stesso cortile, nei grandi condomini, nelle famiglie allargate una giovane madre non restava mai sola. Chi non conosce le vecchie tradizioni del puerperio?
La maternità oggi è vissuta in solitudine. “La mamma è tutto ciò di cui il bambino ha bisogno perché fino al momento della nascita lei era tutto il suo mondo ed è l’unica cosa di cui ha potuto fare esperienza.” Ma per la giovane donna che non può contare su un “villaggio”, il peso di questa responsabilità è tutta sulle sue spalle.
Eppure, il tempo prima e dopo il parto è di particolare fragilità per la salute della donna, che forse necessiterebbe ancora, come un tempo, di un sostegno ad hoc durante il puerperio. Nel peri-parto viene messa a dura prova la salute mentale delle madri, tra baby blues e senso di inadeguatezza, episodi di violenza ostetrica e parti traumatici, allattamenti che faticano, aspettative, delusioni e invasioni della propria intimità familiare. La depressione post partum? Per fortuna, è un rischio noto e si fanno prevenzione e sorveglianza. La fragilità può però anche essere fisica.
Il dolore non è mai normale.
Il dolore è ritenuto a tal punto normale nel puerperio, che alle puerpere che lamentano dolori si ripete sempre che è tutto normale, senza andare a verificare la reale entità e la ragione per cui questo dolore esiste. Il dolore, però, è una domanda che esige risposta. E talvolta può essere il sintomo di disturbi anche di estrema gravità. Come nel caso dell’osteoporosi gravidica, il cui sintomo principale è appunto il dolore che compare e diventa sempre più grave nel corso del puerperio.
Lo strazio è proprio qui: il dolore dei progressivi crolli vertebrali non viene creduto, l’osteoporosi si aggrava sempre più, le fratture si fanno sempre più numerose in un effetto domino che porta le donne in una condizione insopportabile. Ma mentre, letteralmente, si frantumano le ossa, le pazienti sono tacciate di esagerazione, sono contenute, costrette a terapie inutili o che aggravano talvolta ulteriormente la loro condizione, respinte, aggredite verbalmente, orientate verso consulti psichiatrici.
Il fatto è che la malattia non è sufficientemente nota. Se a riferire questo dolore non fosse una puerpera, l’atteggiamento sarebbe diverso. Quando le fratture vertebrali vengono scoperte e il personale sanitario capisce la causa del dolore, la salute spesso è così compromessa che, per esempio, le terapie antalgiche per provare ad attutire la condizione dolorosa della paziente possono diventare così aggressive da essere esse stesse un pericolo per la sua salute.
Se però ci fosse un villaggio, se ci fosse un contesto accogliente e informato, forse molto di questo dolore e di questa disabilità potrebbe essere evitato.
Può la malattia diventare un’occasione straordinaria?
L’osteoporosi gravidica è una patologia fortemente invalidante che condiziona completamente la vita di una neo mamma e la relega ad uno stato di assoluta dipendenza per svolgere anche solo le più semplici azioni quotidiane, come coricarsi, alzarsi, piegarsi, e che talvolta può arrivare a impedirgliele del tutto. L’osteoporosi gravidica impone così alla madre di delegare l’accudimento del proprio bambino ad un’altra persona, perché non è in grado né di sollevarlo, né di cullarlo, né di tenerlo tra le braccia.
Da una parte, osserviamo che questa rinuncia a cui sono costrette è causa di particolare dolore e vergogna per le madri. Di contro, però, “assistiamo ad una regressione della mamma ad uno stato di dipendenza fisica che potremmo paragonare a quella del neonato che dipende in tutto e per tutto da lei.
Una dipendenza forzata e non fisiologica, vero, ma anche una condizione che offre alla mamma l’opportunità di osservare il bambino da un nuovo punto di vista, una risorsa per sintonizzarsi ancora meglio con il proprio bambino: cosa significa dover dipendere da qualcuno? Cosa significa dover aspettare che qualcuno arrivi per aiutarti a muoverti? Cosa si prova a dover dipendere?”
Pensiamo a una giovane madre sana. Il mondo le imporrà di tornare subito in forma, presto attiva, di occuparsi di tutto ed essere perfetta. Il fallimento di tutte le aspettative che l’osteoporosi gravidica porta con sé, la lentezza, se non l’immobilità, che la patologia impone alle madri può però se non altro essere l’occasione di un tempo di totale immersione nel proprio bambino senza essere distratte dalla fretta, un tempo in cui “osservarlo e imparare a conoscerlo attraverso tutti i sensi, sentirne il profumo, accarezzarne la pelle e perdersi nella profondità dei suoi gesti”.
Cosa resta a una madre che non può neppure muoversi? La relazione. La totale immersione nel proprio bambino.
Una volta controllato il dolore, la dr.ssa Caridi suggerisce di cogliere nella malattia “la possibilità di stare in relazione con il proprio bambino, perché in un periodo così difficile e doloroso di dipendenza fisica, la relazione rimane lo strumento privilegiato e più potente nelle mani della mamma, uno strumento che nessuno potrà mai toglierle, neanche le fratture”.
Per molti mesi, forse anni, la mamma con osteoporosi gravidica sarà condizionata nell’accudimento fisico dei propri bambini e questo potrebbe farla sentire in colpa, perché “non riesco a fare quello che fanno tutte le altre mamme” oppure perché “non riesco a fare quello che ho fatto con il primo figlio”. Eppure, non sarà meno mamma solo perché non può passeggiare con il suo bambino tra le braccia o coricarsi al suo fianco nel letto.
Una mamma non è perfetta e non deve esserlo: basta, anzi, serve che sia sufficientemente buona. Ma cosa vuol dire?
Una madre sufficientemente buona
Donald Winnicott, pediatra e psicoanalista inglese, intuì ciò che oggi per noi appare scontato e scientificamente evidente, e cioè che già a partire dalla gestazione si viene a creare una relazione significativa tra la madre e il bambino e che la stessa relazione potrà avere delle ripercussioni sul successivo sviluppo del lattante. Durante la gravidanza si sviluppa infatti una particolare situazione emotiva e mentale che permetterà alla mamma di:
- entrare in contatto con il proprio bambino
- riconoscerne i bisogni di accudimento fisico ed affettivo
- porsi come protezione da stimoli eccessivi.
Questa è ciò che Winnicott definisce la “madre sufficientemente buona”, una madre che non è perfetta, che procede per prove ed errori, ma è una madre affettivamente presente, che si prende cura del suo bambino come riesce, al meglio delle sue possibilità, alternando momenti di amore assoluto a momenti di grande fatica per le sue continue richieste. Perché non è normale il dolore, sono normali la stanchezza e la fatica di essere madri.
Ma non faccio soffrire il mio bambino se sono stanca, se sono nervosa? No, è esattamente il contrario. La capacità di tollerare e poter ammettere di provare sentimenti contrastanti, crea lo spazio per un legame molto intimo tra mamma e bambino.
“Così come il bambino sperimenta la frustrazione di non poter avere tutto, così anche la madre può rinunciare all’idea di potere tutto, in una logica di onnipotenza e di perfezione. Rinunciando a questa logica, la malattia non è più una colpa” e puoi amare tuo figlio anche se temporaneamente sei immobile in un letto.
Cara mamma, non sei meno mamma se soffri di osteoporosi gravidica.
Cara mamma che stai attraversando uno dei momenti più difficili della tua vita, presto ti renderai conto di essere più forte di quanto tu abbia mai potuto immaginare.
Scoprirai di non essere sola, che intorno a te ci sono molte altre giovani donne che invece di godere della gioia della maternità combattono ogni giorno con il dolore e il senso di impotenza.
Anche se ci saranno giornate davvero nere, ricordati che la tempesta non durerà per sempre. Imparerai a navigare in questo mare sconosciuto e insidioso e piano piano tornerà il sereno. Passerai giorni nello sconforto più totale pensando che nulla sarà più come prima e in parte avrai ragione, perché sarai diversa, sarai più consapevole dei tuoi limiti ma anche dei tuoi punti di forza, sarai più orientata a prenderti cura di te stessa e avrai sperimentato che la gioia è nelle piccole cose.
Concediti il tempo necessario per prenderti cura di te e accogli l’aiuto che potrà arrivare da familiari e amici.
La maternità ci cambia, ci trasforma, ma anche di fronte all’imprevisto abbiamo l’occasione di trasformarci per tornare ad essere protagoniste attive della nostra vita e continuare a godere della relazione con i nostri bambini.
Dr.ssa Sara Caridi
Perciò, cara mamma, anche se ti senti, letteralmente, a pezzi, non avere paura di avere mandato in frantumi l’amore di tuo figlio per te. Questo dolore, questa dipendenza, questa immobilità e incapacità che stai vivendo non sono un pericolo: resta sintonizzata su di lui, guardalo, ascoltalo, canta per lui. La relazione che lega te e il tuo bambino non soffre per questo, anzi, sta diventando sempre più forte.